ZONA FRANCA - FESTIVAL DI CREAZIONI ARTISTICHE PER UN PUBBLICO GIOVANE, Parma, 16 / 17 novembre 2006

giovedì 16 Novembre , ore 11:30 | Teatro al Parco

Panopticon Frankenstein

spettacolo per ragazzi e adolescenti a partire dal Frankenstein di Mary Shelley

| età: dagli 11 ai 16 anni

Babilonia Teatri | Verona

ideazione Valeria Raimondi, Enrico Castellani
cura Valeria Raimondi
testi Enrico Castellani
con Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Beauty Omoruji, Valeria Raimondi
musiche a cura di Ilaria Dalle Donne
musiche originali Burdello
scene Gianni Volpe
costumi Franca Piccoli
luci e audio Nicola Fasoli, Giovanni Marocco, Marco Spagnolli

Babilonia Teatri
via Parrocchia, 43 – 37050 Isola Rizza Verona
tel. 045 7135191 cell. 349 1323403
info@babiloniateatri.it
www.babiloniateatri.it

Il progetto

Un attore accoglie il pubblico: è una figura ammaliante, seducente, provocante.
La musica è assordante, violentemente techno, le luci psichedeliche e disorientanti.
I ragazzi sono invitati a disporsi in cerchio attorno ad una struttura-torre a più piani, perno dello spettacolo.
L’attore è il guardiano della torre. Balla e sorveglia. Si mostra e rassicura.
Il frastuono rende il ritmo dell’azione frenetico.
È cabaret anni ’30 trasformato in un disco-inferno.
L’ambiguo personaggio è il centro dell’azione. L’occhio che può vedere tutto ciò che è attorno. Il pubblico è ai suoi piedi. È sotto tiro. Sotto tiro anche le tre pedane-celle disposte ai tre angoli del triangolo inscritto nel cerchio formato dai ragazzi. Balla. Canta. Provoca il pubblico.
La torre allora non è più solo una gabbia da discoteca: è la torre centrale del Panopticon, il carcere a pianta circolare progettato da Bentham. Alla periferia una costruzione ad anello divisa in celle, al centro la torre. Il Panopticon non è un edificio onirico, è un puro sistema architettonico e ottico: un tipo di inserimento dei corpi nello spazio. Di distribuzione degli individui gli uni in rapporto agli altri. Di organizzazione gerarchica. Di disposizione dei centri e dei canali di potere.
È la cabina di regia di molti reality show. È un mostro. È artificiale come il mostro. Artificiale come la vita in un carcere. Mostruosa come l’etichetta di mostro. Come un carcere con 700 celle e 700 tv tutte sintonizzate a guardare degli uomini chiusi in una casa.
I blindi sbattono. Le chiavi tintinnano di continuo. Il vociare a tratti è assordante. Il corpo è costretto.
Tutto ha un orario. La sveglia, la lezione, la campanella, la merenda, i pasti: non c’è azione ma non c’è sosta.
Fino a che l’occhio si spinge a spiare dentro al buco della serratura di una cella. Di una casa. Di una solitudine.
Lo spettacolo respira. La luce si concentra in un’unica cella. Su una persona. Su una storia.
L’attrice intreccia lenzuola raccontando la storia del mostro creato da Frankenstein. Non c’è posto per lui in un mondo scandito da regole precise. Un mondo che non accetta ciò che esce dagli schemi.
Si torna alla torre di controllo, luogo che tutto dirige e da cui tutto passa. Luogo che detta i ritmi della vita come dello spettacolo. Che tutto vede e tutto sa. Dove la follia del disco-inferno continua ad impazzare.
Altra cella: la storia vera di Beauty, un’ex detenuta con cui abbiamo lavorato per due anni, scappata da una terra dove veniva cresciuta come una serva per ritrovarsi in una dove ad accoglierla ha trovato la strada prima e il carcere poi.
Altra: la storia di Badre, dei suoi 21 anni e dei suoi 5 compleanni trascorsi in carcere: ancora una voce di un detenuto e il corpo di un attore.
Tre storie diverse e distanti di persone incarcerate.
Tutti a guardare: spettatori e abitanti della torre.
Il grande voyeur non si imbarazza, non ascolta, rimane freddo e distaccato. Violento ma non credibile per i panni che indossa e per quello che fa. Siamo sempre nel mezzo di una baraonda. Niente viene preso sul serio. È una girandola di situazioni, ma alla fine tutto si ribalta. L’uomo della torre, telecamera alla mano, inizia a filmare la gente del pubblico che viene proiettata nelle celle. Sulla torre e in ogni dove. Un alternarsi di carrellate veloci e zoom strettissimi. Musica assordante. Luci isteriche.

La compagnia

Due attrici, un attore, uno scenografo tecnico, una ballerina nera, un musicista cieco, un pianista batterista-chitarrista, un tecnico intellettuale, un 3D designer, un rapper.
Il gruppo si è formato lo scorso autunno tra foglie che cadevano intorno a un’idea di messa in scena che parlasse della guerra in Iraq.
Per un teatro incandescente. Che sia e parli al contemporaneo.
Ognuno è partito per la sua ricerca: quotidiani, libri, segni, musiche, rumori, video, immagini, scene, movimenti, suggestioni.
Le ha raccolte, le ha scomposte, le ha proposte agli altri. Abbiamo iniziato a mescolare tutto, a parlarne e a metterle assieme. Sono iniziate le prove. Accostamento di suoni e parole. Gesti e oggetti. Da una parte l’improvvisazione dall’altra il tentativo di formalizzare. Da un lato il lavoro fisico dall’altro quello intellettuale.
È nato Cabaret Babilonia. È nato Babilonia Teatri.
Valeria: fa teatro in carcere, non trova mai le chiavi, ama Eliot.
Ilaria: attrice, dipinge angeli, porta lunghi orecchini verdi.
Enrico: attore de-represso, ama cantare ma non gli passa, dorme in aria.
Nicola: neo dottore bunueliano, tecnico da dieci anni, vuole scrivere.
Francesco: Erode sulla scena, festaiolo nella vita, disegnatore Maya sul lavoro.
Giovanni: iscritto al primo anno di Accademia Belle Arti, non studia, costruisce praticabili e ha la passione per le maschere in lattice.
Beauty: nera, parla poco l’italiano, ma quando balla si fa capire benissimo.
Marco: nozionista cieco, vuole fare il jazz-man, da un anno ha imparato a farsi la pasta.
Manza: esperto musicologo, rappa da dio, manomette computer.
Ruggero: al suo primo mediometraggio, adora fare tutte le cose assieme.
Rasta: suona il basso, dei suoi capelli è rimasto il soprannome, scrive testi demenziali, si è sposato a Las Vegas
Un gruppo eterogeneo che sta facendo delle sue spinte centrifughe la sua forza.
Competenze diverse si fondono e si potenziano, si commistionano. I linguaggi si distruggono, si sporcano.
Stiamo costruendoci un modo di procedere.
La scelta di un tema di lavoro. L’elaborazione di testi e suggestioni da parte degli attori. Di alcuni oggetti e di un possibile uso dello spazio da parte di scenografi e tecnici. Di alcuni suoni per quanto riguarda i musicisti. Di gesti codificati. Immagini.
Poi il lavoro di improvvisazione. Partiamo da questi stimoli, a volte per abbandonarli, altre col preciso compito di tenerli sempre presenti.
Il lavoro viene ripreso per essere rivisto e decidere cosa tenere e su cosa tornare a lavorare. Poco alla volta si giunge a una sintesi. Si comincia a delineare una cifra. Il magma si incanala.